Giornata della Memoria 2022 – Il racconto di The Monuments People
Il blog dell’associazione The Monuments People si è arricchito da qualche giorno di una nuova rubrica “Racconti Monumentali” con un bell’articolo della nostra Sara Foti sul monumento e sulla figura di Sigismondo Castromediano. Si tratta di una raccolta di articoli, frutto di ricerche e studio da parte dei nostri soci, per raccontare in modo coinvolgente e appassionante singoli monumenti del nostro territorio, spunto per approfondimenti di più ampio respiro.
In occasione della Giornata della Memoria 2022 inseriamo un racconto che non è “monumentale” in senso stretto, in quanto non narra di un monumento singolo, statua, edificio etc., ma che, come in quel caso, ci consente di andare indietro nel tempo, per raccontare, così come ci piace fare, una storia che ha coinvolto il nostro territorio, forse senza lasciare grandi tracce materiali da cui partire per una più approfondita digressione, ma che ha sicuramente lasciato profonde tracce nella Memoria, sia in quella più recente, del secolo scorso, che in quella più antica e remota dei secoli passati. Si tratta della Memoria della presenza di comunità ebraiche nel Salento, una presenza attestata in età medievale, grosso modo dal XIII al XV secolo e, più recentemente, a seguito della Seconda Guerra Mondiale, tra il 1943 e il 1947, quando in quattro località del Salento, Santa Maria al Bagno, Santa Cesarea Terme, Tricase Porto e Santa Maria di Leuca l’U.N.R.R.A. (United Nations Relief and Rehabilitation) insediò quattro campi di accoglienza, o meglio di transito, per profughi ebrei e non solo fuggiti dallo sterminio nazi-fascista.
In questo caso quindi il monumento di cui parliamo è la Memoria, una memoria storica ricostruita tramite tracce “minori”, notizie date di sfuggita in cronache antiche, ricordi nella toponomastica e in antiche tradizioni e leggende per quanto riguarda l’età medievale e, in riferimento alla storia più recente, tracce impresse nei ricordi e tramandate nei racconti delle persone che hanno direttamente vissuto i fatti.
Parliamo di una storia che all’associazione The Monuments People è molto cara, una storia che negli ultimi decenni è stata ricostruita tramite racconti, fotografie, dati di archivio, sulla scia di più ampi studi europei volti ad analizzare e capire la sorte degli Ebrei scampati alla Shoah, dopo la fine della guerra, in anni che possiamo chiamare di transizione, verso la ricerca di una nuova ridefinizione sociale e civile, di una nuova patria. Un processo che porterà, a pochi anni di distanza, alla fondazione dello Stato di Israele.
È nata così nel 2019 la mostra “Racconti di Memoria. Storie di Accoglienza da una Terra di Frontiera” in collaborazione con l’Associazione Meditinere, l’Archivio di Stato di Lecce e tanti partner differenti, singole persone, professori, studiosi, appassionati, fotografi insieme ad associazioni, cooperative etc. allestita a Palazzo Gallone a Tricase e riproposta nel 2020 a Lecce presso le sale del Convitto Palmieri. Un vero e proprio lavoro di squadra il cui frutto è stato un percorso espositivo che tra parole, ricordi, informazioni corredate da fotografie ed elaborati grafici, narra la storia di una ‘minoranza’, che come sempre lascia poche testimonianze monumentali, ma che ha contraddistinto la vita del Salento nei significativi anni della ripresa post bellica.
Il percorso di mostra non si è però fermato solo a quegli anni, ma abbiamo deciso di raccontare fino ad anni recenti e ai giorni nostri il Salento come terra di scambio e accoglienza, una connotazione che ha contraddistinto questo territorio, sicuramente in gran parte per la sua posizione geografica, fin dall’antichità, analizzando l’arrivo di profughi albanesi negli anni Novanta, spunto per riflettere anche sull’importante figura di Don Tonino Bello, e i flussi migratori contemporanei provenienti soprattutto dall’Africa, argomento che ci ha consentito di ospitare in un incontro estremamente suggestivo Alessandro Metz, armatore della nave Mare Jonio della ONG Mediterranea Saving Humans. Oggi cambiano le persone che arrivano, le istituzioni che stanno alle spalle del processo di entrata, di organizzazione e, nei migliori casi, di assimilazione. Ma quello che dai racconti e dalle testimonianze, almeno in alcuni casi, non sembra cambiare, è lo “spirito” con cui gli stranieri vengono accolti.
Tornando alla storia che più ci interessa in questo ambito della Giornata della Memoria, cioè al periodo postbellico, testimonianza del ruolo fondamentale della Memoria, è il fatto che è necessario distinguere tra quelle che sono le tracce ufficiali è quello che risulta invece dai racconti delle persone che in prima persona hanno vissuto quegli eventi. Documenti provenienti dall’Archivio di Stato di Lecce, collaboratore diretto, grazie all’aiuto prezioso della dott.ssa Maria Rosaria Tamblè, della realizzazione della mostra, trasmettono un’immagine di insofferenza da parte della popolazione locale nei confronti di questi stranieri che erano stati insediati nelle ville delle belle località balneari perché ormai, finita la guerra, volevano tornare in possesso dei loro immobili per soggiornarvi, generalmente in maniera stagionale, come erano soliti fare prima della Guerra. Personaggi quindi di elevato livello sociale, proprietari della “seconda casa” al mare, ma residenti normalmente in città in Salento o in Puglia in generale. Se invece si ascoltano le voci del “popolo”, quelle voci che sono state con cura raccolte in tante antologie di racconti pubblicati negli ultimi anni, ci troviamo di fronte ad uno scenario diverso. È quello di una popolazione locale povera, affamata, provata dagli anni di guerra, che vede arrivare nella propria città persone straniere, di cui non capisce la lingua, con tradizioni differenti e anche loro duramente provati. A differenza loro però questi stranieri non dovevamo ricostruire lì la propria casa, ma erano di passaggio, per qualche tempo, nell’attesa di tornare nei paesi da cui erano fuggiti o dai quali erano stati scacciati prima della guerra o, nella maggior parte dei casi, col fermo proposito di non tornare tra quelle persone che avevano contribuito ai loro anni di sofferenza, ma di trovare per sé e per i propri cari rimasti, una nuova patria raggiungendo parenti e amici in altri continenti (molti andarono negli Stati Uniti e in Canada), o intraprendendo il lungo viaggio verso la Terra Promessa, la Palestina.
Non tutti arrivarono nei campi di accoglienza salentini casualmente o inconsapevolmente infatti, ma alcuni scelsero questa “via” proprio perché area di passaggio, di transito verso la Palestina: “Porta di Sion” viene chiamato il Salento in alcune testimonianze e di qua in effetti, e dalla Puglia in generale, partirono numerose navi clandestine alla volta della Palestina.
È emozionante leggere i racconti sia dei salentini che dei profughi di quegli anni. Traspare spesso un senso, in qualche modo, di “comunità”, soprattutto pensando agli eventi che avevano causato questi contatti, alle leggi razziali, alle discriminazioni nel nome di una infondata superiorità evolutiva, senza entrare nel merito dei campi di concentramento e di sterminio. Persone che cercavano di sopravvivere e di ricostruirsi, da entrambe le parti. E allora i salentini ricordano scambi di merci, condivisioni (i profughi avevano spesso di più dei locali, essendo i campi gestiti da organizzazioni internazionali che fornivano abiti, coperte, generi alimentari), screzi, come nel caso di una partita di pallone a Tricase, finita male, in una zuffa, ma pur sempre una partita di pallone.
Leggendo e ascoltando le testimonianze dei profughi invece, personalmente, un’immagine si è sempre fatta strada nella mia mente: è l’immagine di una giornata di sole, magari nel passaggio tra la primavera è l’estate, quando il caldo non è ancora troppo forte, e quando il territorio, le campagne, non sono ancora del tutto secche. E immagino queste persone, provenienti dal freddo e dal gelo, fisico ed emotivo, di qualche campo del centro Europa, dove la loro dignità umana era stata del tutto negata, che dopo un lungo viaggio, senza magari neanche sapere con certezza verso dove, consapevoli di essere stati liberati, ma, credo, comunque terrorizzati dal presente, dal futuro … immagino – provo a immaginare, immaginare veramente non credo sia possibile – queste persone, con il loro stato d’animo, arrivare in riva al mare del Salento, immagino il rumore delle onde del mare sulle rocce, il vento e quel tepore sulla pelle, che scalda … sicuramente gli abitanti del posto hanno avuto un ruolo fondamentale nel processo di accoglienza dei profughi, ma lo ha avuto anche la terra salentina, con le sue caratteristiche fisiche e geografiche, un territorio che ha consentito, citando le parole di molti profughi e il titolo del documentario “Rinascere in Puglia” (Yael Katzir, Gady. Castel, 2015), una vera e propria “rinascita”.
E una rinascita ci fu veramente nei campi in quegli anni. A Santa Maria di Leuca, dove la Colonia Scarciglia ospitava l’ospedale di riferimento dei campi, nacque una nuova generazione di Ebrei, che oggi ritornano spesso, per visitare quei luoghi in cui i loro genitori, i loro nonni, erano tornati alla vita.
È un frammento di storia, non un importante monumento da visitare, ma un mondo di ricordi da conoscere e raccontare per, come recita il testo della legge che istituisce il Giorno della Memoria (legge 20 luglio 2000, n. 211) all’art. 2, “conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia del nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere”.
E gli eventi che contraddistinguono la Grande Storia, se analizzati e studiati più da vicino, con i loro riflessi nei luoghi in cui si vive, tanto più nel caso del Salento, dove paradossalmente si tratta anche di una storia bella da raccontare, serve a “non dimenticare e a non ripetere gli stessi errori”.
Questo è stato l’obiettivo della mostra “Racconti di Memoria” nei confronti dei tanti ragazzi che nel corso degli anni prima a Tricase e poi a Lecce hanno visitato il percorso espositivo e che anche l’anno scorso e quest’anno, in modalità online data la situazione, conosceranno la storia dei profughi ebrei nel Salento.
Giuliana Genoese
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