In un caldo pomeriggio d’agosto ovvero quattro passi tra birra (artigianale), movida, vicoli e Storia

Riprendemmo il nostro vagare. Proseguì a raccontare dei monaci, delle loro regole, di San Colombano, San Gallo e San Corbiniano, della produzione di birra negli antichi monasteri, del Consiglio di Aquisgrana del 817 d.C. e delle misure di birra destinate ai monaci anche in conformità alla massima latina liquida non fragunt ieiunium (i liquidi non interrompono il digiuno).

Vito mi ascoltava rapito e curioso ponendomi numerose domande. Persi nei nostri discorsi, quasi senza accorgercene, giungemmo fino a viale Lo Re che seguimmo sino all’imponente castello di Carlo V, il più grande di tutta la Puglia.

“Anche in questo maestoso maniero possiamo divertirci a distinguere, nell’arazzo intessuto dal tempo, quegli intrecci che rimandano alla storia della birra. Ben presto anche i regnanti si interessarono alla produzione brassicola. Basti pensare al Capitulare De Villis emanato alla fine del VIII sec. da Carlo Magno. Considera poi che tutta l’Europa subì una grande trasformazione a partire dalla fine del XII secolo. Fu un processo lungo e complesso che per certi versi durò sino alla fine del 1500 e all’incoronazione proprio del nostro amato sovrano. La storia del Sacro Romano Impero e dei suoi imperatori è intrisa di birra. A tutto questo ovviamente non sfugge neppure Carlo V, che anzi è considerato il re della birra, il re ghiotto. ”

“Dai non prendermi in giro!” sbottò impaziente il mio ascoltatore.

“Sono serissimo, tieni conto che il sovrano nacque a Gand, nelle Fiandre, e la sua educazione seguì la cultura fiamminga, tradizione birraria compresa. Si narra che non soltanto il sole non tramontasse mai sul suo impero, ma che intramontabile fosse, in realtà, il suo appetito. Pare che l’imperatore ingurgitasse torrenti di birra, mangiando in solitudine per meglio gustare il cibo. Si narra che amasse in particolare le birre prodotte dalle Beghine, seguaci di un movimento semi religioso che perseguiva la povertà volontaria come rinascita spirituale, che producevano birre ed altri alimenti per farne dono ai poveri e ai più bisognosi. Prodotte secondo la stessa filosofia dei monaci trappisti, queste birre attirarono l’attenzione e l’ammirazione dell’Imperatore Carlo V, che se le sarebbe fatte recapitare direttamente in Spagna. Oggi non solo ci sono birre che portano il suo nome, ma addirittura esiste un boccale di Carlo V. Dotato di quattro manici a richiamare la foggia della corona. Tutto ciò fa parte del moderno storytelling, della “narrazione a fini commerciali” ma questi aneddoti aiutano a rendere più accattivante la storia.”

“Non ti nego che mi sarebbe piaciuto assistere ad uno di questi pranzi luculliani del re…che magari sfogava nel cibo e nella birra le ansie e le preoccupazioni connaturate al peso della corona.” rifletté Vito interrompendomi per un attimo.

“Sì hai ragione, a volte il cibo e le bevande possono avere una funzione liberatoria.” Risposi ridendo e aggiunsi “Il buon Carlo abdicò nel 1556, afflitto da artrite, ulcera e gotta, per ritirarsi in un monastero spagnolo accanto al quale si era fatto costruire un’intera ala personale per ospitare il suo seguito di cinquanta servitori e dodici cuochi. Nonostante la cattiva salute e l’austerità del luogo, l’imperatore non riuscì mai a rinunciare ai dolci e ad ogni altra leccornia. Ma lasciamo il sovrano alle sue bevute e continuiamo a cercare gli intrecci al sapore di malto e di luppolo intessuti nel nostro arazzo.”

Riprendemmo a camminare e fatti pochi passi ci fermammo di fronte al maestoso anfiteatro romano.

“Ovviamente non mi mostri nulla di nuovo. Questa piazza, questo antico monumento sono talmente noti che ormai per molti leccesi è come fossero invisibili” commentò il mio accompagnatore.

“Certo. Dici bene. Succede spesso di dare poco valore a ciò che diventa abituale, considerarlo scontato. Ma ancora una volta ti invito a guardare ciò che hai di fronte con la meraviglia di un bimbo. Pensa al mondo romano, al grande impero amante del vino, in cui però la birra era presente nella vita quotidiana. La cerevisia era bevanda di schiavi, gladiatori e soldati.  Prova adesso a pensare alle vie consolari che attraversavano tutto l’impero. Qui al Sud le truppe le dovevano percorrere rapidamente o verso oriente, passando da Brindisi, o verso occidente, alla volta della Sicilia. Allora se si muovevano le legioni, sicuramente si muoveva la birra. E poi gli anfiteatri e le familiae gladiatoriae. Ai gladiatori era riservata un’alimentazione soddisfacente, la cosiddetta gladiatoria sagina, finalizzata a migliorare le prestazioni fisiche. Cardine di questa alimentazione era la birra, considerata un alimento base ed ottimo integratore. Spesso i gladiatori stessi venivano definiti “uomini orzo” proprio in considerazione della particolare dieta loro riservata. A tal proposito interessanti ritrovamenti sono emersi ad Efeso in Turchia. Ma scusami rischio di dilungarmi, invece è tempo di andare”

Continuammo a camminare immaginando le peripezie degli uomini del passato, dei loro viaggi, dei loro commerci, degli scambi di idee e conoscenze che avvenivano soprattutto via mare. Dai Romani passammo ai Greci fondatori di colonie e impareggiabili atleti. Ci lasciammo affascinare dalle antiche monete con spighe di orzo e con i tripodi olimpici; dagli atleti che potevano bere birra e non vino durante i giochi sino alle grandi pianure cerealicole di tutta la Magna Grecia. Ma viaggiammo ancora più indietro nel tempo, sino alla remota età del Bronzo, quando merci, uomini e idee passavano da Roca Vecchia, coeva di Troia. Persi nel fiume del tempo percorremmo senza rendercene conto tutto Corso Vittorio Emanuele II. Ci lasciammo alle spalle la magnifica Chiesa di Sant’Irene e lo scrigno barocco di Piazza del Duomo, non senza però accennare a Lutero e alla sua sposa, al loro amore per la birra, alle celeberrime tesi con le quali venivano messe alla berlina la vendita delle indulgenze ed altri mali della chiesa cattolica. Ben presto il discorso ci portò sino al Concilio di Trento ed alla Controriforma.  Sottolineai al mio amico come a seguito delle tesi di Lutero lentamente in Europa venne abbandonato l’uso del gruyt in favore del luppolo: ciò si configurava anche come una scelta politico-religiosa. Per il luppolo non c’erano tasse da pagare al Papa, come invece avveniva per la misteriosa miscela venduta ai birrai, di fatto una forma di tassazione vera e propria. Ci ritrovammo così, quasi all’improvviso, di fronte alla fiammeggiante facciata della Chiesa di San Giovanni Battista.

Testo di Aristodemo Pellegrino

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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