La fòcara di Sant’Antonio Abate: la tradizione del santo del fuoco a Novoli
La fòcara è un inno collettivo al Protettore di Novoli, il Santo del fuoco e patrono degli animali domestici, S. Antonio Abate. La fòcara di Novoli è una tradizione che unisce sacro e profano, e raduna la comunità intorno al culto del santo anacoreta. Ogni anno, nei giorni prossimi alla data del 17 gennaio, si svolge la “festa del fuoco”, un evento che richiama da ogni parte della provincia, ma anche della regione, migliaia di pellegrini e visitatori.
Un culto, quello novolese, che pare abbia origini antiche, forse risalente all’epoca bizantina. Seppure Sant’ Antonio Abate diviene ufficialmente protettore di Novoli nel 1664 con l’assenso canonico del vescovo di Lecce, mons. Luigi Pappacoda. Non è chiaro, tuttavia, per quali ragioni la Santa Congregazione dei Riti di Roma diede il suo consenso solo dopo oltre settant’anni, nel 1737. Da allora il 17 gennaio a Novoli diventò giorno festivo. Più recente, invece, in verità, è l’acquisizione delle reliquia del Santo Taumaturgo, che nei giorni di festa viene esposta alla devozione dei fedeli. Essa giunse a Novoli dalla cattedrale di Tricarico, in provincia di Matera, il 27 luglio 1924, in seguito a una supplica rivolta al vescovo della diocesi lucana, e da allora la reliquia è custodita, in una nicchia in marmo, nel cappellone del santo del Santuario di Novoli.
La chiesa dedicata al santo eremita fu edificata su un antico sacello nel XVII secolo con le offerte del popolo. La costruzione subirà diversi interventi che ne modificheranno l’aspetto e le dimensioni nel corso del tempo e negli anni Trenta del ‘900 viene eretto il campanile. A spese del popolo fu pure ricavato il pozzo adiacente alla chiesa, che veniva ceduto in affitto per una certa somma annua devoluta a beneficio della stessa chiesa. Sempre accanto all’edificio di culto, a testimonianza del rito greco, si trova la stele dell’Osanna, sormontata da un capitello in cui si vedono scolpiti l’antico stemma del Comune, dei Mattei (in passato signori di Novoli) e le immagini dei santi protettori del paese, Sant’Antonio e la Madonna di Costantinopoli: la stele era stata eretta nel 1692, smembrata nel 1938 per lasciare spazio alla costruzione del campanile, e infine ricomposta di nuovo sul fianco della chiesa.
Anticamente la fòcara si allestiva nella piazza su cui affaccia la chiesa dedicata al Patrono di Novoli, per poi essere spostata, dal 1950 al 1996, in piazza Gaetano Brunetti (oggi Totò Vetrugno), a breve distanza dalla stazione ferroviaria, ma motivi di sicurezza e di incolumità pubblica indurranno a un definitivo trasferimento in piazza Tito Schipa, dove ancora oggi la vediamo innalzarsi e prendere fuoco la sera del 16 gennaio. Il falò era allestito dai “pignunai”, ossia contadini costruttori di covoni: di fatto, la fòcara richiamava convenzionalmente la forma conica della pigna e del covone, per poi mutarne di anno in anno la struttura, costruendola a più cuspidi, a forma piramidale oppure con un galleria in mezzo.
Il rito della fòcara ad ora risultava attestata per la prima volta nel 1893, su una testata locale, la “Gazzetta delle Puglie”, mentre è del 1909 una delle più datate testimonianze fotografiche dell’evento. Tuttavia l’ultima pubblicazione di Gilberto Spagnolo sul diario di un uomo di campagna magliese, Salvatore Cezzi, che sposa una donna di Novoli e lì andrà a vivere, retrodata l’informazione finora nota. Nel diario di Cezzi si documenta, sotto la data 1872, che l’uomo osserva a Novoli “una fòcara di Sant’ Antonio” più grande di quella che si faceva a Maglie.
Stabilire comunque una data certa è ancora un enigma. Sebbene di fatto gli storici dei primi decenni del XX secolo, nelle loro pagine, concordano nel definire la costruzione e l’accensione della fòcara “un rito antichissimo”, nei documenti del ‘600 e del ‘700 (quando è già affermato il culto per il Santo del fuoco), nel raccontare la festa del patrono, non si legge alcun riferimento riguardo al falò ma solo alla benedizione degli animali, anch’esso un rito canonico nel culto del Santo anacoreta.
Devozione e folclore si fondono in questa festa dell’inverno salentino, che culmina con l’accensione della fòcara, un imponente falò - il più grande del Mediterraneo - alto 25 metri con un diametro di 20 metri, realizzato per intero con fascine di “sarmente”, tralci secchi di vite derivati dalla potatura. Per tradizione la catasta viene costruita nelle settimane precedenti la festa utilizzando all’incirca quasi 90mila fascine accatastate, che molti devoti donano mentre altre vengono acquistate.
L’uso della vite vuole anche celebrare la produzione vinicola novolese, nota per il suo Moscato e il Negroamaro. Un trattato del 1863, firmato proprio il 17 gennaio, garantiva l’esportazione dell’uva italiana verso il mercato francese e ciò aveva spinto i contadini novolesi a votarsi a questa coltura. Questo ricco frutto conquista un posto da protagonista tale che, nella prima metà del XIX secolo, la comunità novolese decide di assegnargli un posto d’onore inserendolo nel proprio stemma civico: tre grappoli d’uva di fatto sostituiscono l’immagine della Madonna di Costantinopoli. L’uva si fa simbolo del lavoro dell’uomo e testimonianza dell’economia agricola del paese.
Il via alla sua costruzione viene dato nella prima metà di dicembre con la “festa della vite”, per essere ultimata a mezzogiorno della vigilia. Con una fragorosa salve di fuochi d’artificio e con i rintocchi a festa delle campane del Santuario, si annuncia l’inizio della costruzione della grande pira. I lavori sono diretti da un maestro costruttore, le cui tecniche si tramandano di padre in figlio. Quelli che portano alla costruzione della fòcara sono gesti antichi che rimangono immutati nel tempo, che affondano le radici nella terra, nei vigneti. È simile a una sorta di preghiera, fatta di terra, lavoro e fatica e sudore, di gioia e condivisione. Una preghiera che prende forma, si manifesta in una catasta che si innalza, fascina su fascina, sempre più in alto nel cielo, come ringraziamento per quanto è appena passato, con l’arrivo dell’inverno, e l’auspicio per ciò che dovrà ancora venire, con la nuova stagione. Così l’accensione della fòcara risulta essere il momento più atteso e tutti i presenti, affascinati e trepidanti, aspettano la fine dei fuochi pirotecnici per vedere le prime lingue di fuoco scaturire dalla sommità del falò. La colonna di fumo allora si innalza portando con sè preghiere e speranze dei presenti per raggiungere il Santo Taumaturgo del fuoco, Antonio Abate, che benevolo assiste i fedeli e intercede per loro.
Testo di Sara Foti Sciavaliere
Fotografie gentilmente concesse da Antonio Zaccaria
Bibliografia
-M.De Marco, “Storia di Novoli”, Edizioni Dimensione 80, Roma, 1980.
-V.Pellegrino-A.Pellegrino, “Dal tralcio della vite alla Fòcara”, curato da A.Zaccaria.
-A.Politi, “C’era una volta a Novoli: religiosità popolare”, Il Parametro Editore, Novoli, 2000.
-G.Spagnolo, “Il fuoco sacro. Tradizione e culto di S.Antonio Abate a Novoli e nel Salento”, C.R.S.E.C. Le/37, 1998.
-G.Spagnolo, “Novoli e il culto di Sant’Antonio Abate: le origini e la Focara”, in “Spazio Aperto Salento”, 15 gennaio 2021.
-G.Spagnolo, “Memorie dal passato. Il diario di Salvatore Cezzi e la Fòcara di Novoli (1872-1874). Superba come ogni anno”, Società Storica di Terra d’Otranto, 2023.
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