Santa Maria al Bagno: il borgo della memoria e dell’accoglienza

“Negli anni tra il 1943 ed il 1947, il Comune di Nardò, al fine di fornire la necessaria assistenza in favore degli ebrei liberati dai campi di sterminio, in viaggio verso il nascente Stato di Israele, dava vita, nel proprio territorio, ad un centro di esemplare efficienza. La popolazione tutta, nel solco della tolleranza religiosa e culturale, collaborava a questa generosa azione posta in essere per alleviare le sofferenze degli esuli, e, nell’ offrire strutture per consentire loro di professare liberamente la propria religione, dava prova dei più elevati sentimenti di solidarietà umana e di elette virtù civiche.”

È con la questa motivazione che Nardò è stata insignita della Medaglia d’Oro al Merito Civile dal Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, il 27 gennaio 2005, Giorno della Memoria. Nell’area neretina, di fatto, sorse il campo di transito e accoglienza denominato Displaced Persons Camps n°34, uno dei maggiori di tutta la Puglia per estensione territoriale e per il numero di persone accolte, che tra il 1944 e il ’47 furono più di 2mila. Il Campo 34 comprendeva quasi interamente le marine di Nardò , dove, per accogliere i profughi, furono requisite più di duecento ville, tra Santa Maria al Bagno, Santa Caterina e il parco naturale di Porto Selvaggio.

Santa Maria al Bagno era un umile borgo di pescatori, finché alla fine dell’Ottocento, tra la nobiltà dei paesi limitrofi, si era diffusa la passione per la villeggiatura a mare, complice anche il fatto che molti medici iniziarono a consigliare il mare come terapia per il benessere di corpo e mente. Così molti nobili si sfidarono nella realizzazione della villa più bella, indice del proprio prestigio sociale. È da qui che nacquero le ville dell’eclettismo ottocentesco del Salento, quelle che poi diventano le locali dimore storiche, ulteriormente impreziosite da rigogliosi giardini. Gli stili che le caratterizzano vanno dall’eleganza del moresco alla fantasia del liberty, in una contaminazioni di gusti artistici che si combinano nell’eclettismo di richiamo talvolta all’esotico.

Per allestire il Campo 34, molti palazzi borghesi e molte ville del posto, che erano una seconda residenza, furono temporaneamente requisiti ai proprietari per essere convertiti in alloggi per i profughi nell’attesa di raggiungere la Terra Promessa. Erano di fatto principalmente profughi ebrei reduci dei campi di concentramento europei, liberati dagli Alleati. La direzione del campo fu stabilita presso Villa Saetta e la “municipalità ebraica” presso Villa Personè (oggi De Benedittis).

Altre ville, Fonte e Falco – detta Ave Mare -, furono attrezzate per la mensa e per la scuola di formazione. Un edificio di spicco fu Palazzo Caputo- Vallone, fulcro di Piazza Nardò, dove nel dopoguerra era stata istituita la sinagoga per permettere loro di ritirarsi in preghiera e per farli sentire a casa. In un primo momento ci fu diffidenza e un generale mal contento tra la gente del posto ma presto lo spirito di accoglienza del popolo salentino prevalse, e i profughi ebrei divennero parte integrante della comunità, trovando a Santa Maria al Bagno la tranquillità necessaria per tornare sorridere, dove ricominciare. Di fatto, Santa Maria al Bagno, insieme agli altri campi di transito del Salento, ha rappresentato una rinascita per chi fuggiva dalla guerra, dai campi di concentramento e dalle persecuzioni naziste, divenendo per migliaia di ebrei luogo di accoglienza, di recupero della serenità e dell’umanità.

Sara Foti Sciavaliere

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