La reliquia contesa: la “sacra mammella” di Sant’Agata tra Gallipoli e Galatina

Moriva il 5 febbraio del 251, dopo crudeli torture, la Santuzza di Catania, Sant’Agata, conosciuta tra le martiri per l’emblematico supplizio dell’amputazione dei seni. La vergine catanese e patrona del capoluogo etneo lascia tracce del suo culto anche in Salento, facendosi oggetto di una diatriba tra due località in provincia di Lecce, Gallipoli e Galatina.

Tutto ebbe inizio in seguito al trasferimento delle spoglie della Santa dalla Sicilia a Costantinopoli, quando nel 1040 il generale bizantino Giorgio Maniace, per conquistare la benevolenza del basileus Michele IV il Paflagone, decide di sottrarre da Catania e da Siracusa i sacri corpi di Sant’Agata e Santa Lucia, come preziosi doni per la corte di Bisanzio. Le spoglie mortali della martire catanese rimasero nella capitale dell’Impero orientale per ottantasei anni, finché nel 1126 Goselmo e Gisliberto, uomini di mare – l’uno pugliese e l’altro francese – dopo aver violato il sarcofago della santa, imbarcarono i resti (sezionati e deposti in faretre, coperte da petali di fiori)  su un veliero che salpò verso la Sicilia. Sarà una navigazione travagliata, finché una brezza provvidenziale sospingerà il vascello lungo la costa di Gallipoli (forse non casualmente, se si conferma la tradizione che vuole Goselmo proprio originario della cittadina ionica), ed è qui che fu lasciata cadere sull’arenaria una delle due sacre mammelle di Sant’Agata, forse come dono del navigatore alla sua città. Il veliero proseguì quindi il suo viaggio per Catania.

 

Intanto, su quella spiaggia si recò, come sua abitudine, una donna a lavare i panni, portando con sé la figlioletta che, rimasta a giocare sulla sabbia, trovò casualmente la mammella sacra. La madre, addormentatasi, sognò una fanciulla splendente di luce, che le indicò la piccola infante che allattava a una mammella non sua; svegliatasi, la donna si rese conto che il sogno era reale e ne ebbe grande impressione: immaginate un bambino che succhia a una mammella recisa (…la scena doveva essere un po’ raccapricciante)! La madre tentò di strappargliela dalle labbra, ma senza alcun esito, e in preda alla disperazione si rivolge allora al clero e al vescovo Baldrico. Questi recitarono le litanie e, sciorinando tutti i nomi dei santi, all’invocazione “Sancta Agatha, ora pro nobis”, videro l’infante lasciar cadere la mammella nelle mani di un sacerdote.

 

Identificata la sacra reliquia, in un grande giubilo generale, Sant’Agata fu proclamata prima protettrice della città e dell’intera diocesi, sostituendo l’intitolazione dell’antica cattedrale da San Giovanni Crisostomo con quella della martire catanese. Inoltre fu realizzato un pregiato reliquiario in argento cesellato: di forma prismatica e dalle basi congiunte da esili colonnine, sullo spigolo di ciascuna di esse sono rappresentate le principali torri delle mura cittadine sormontate da statuette simboliche. All’interno del reliquiario, si colloca la custodia in vetro munita del sigillo episcopale, contenente la “sacra mammella”, protetta da rete d’argento lavorata a filigrana.


La reliquia di Sant’Agata però rimarrà a Gallipoli fino al 1380, anno in cui, Raimondello del Balzo Orsini, Conte di Lecce e Soleto e Principe di Taranto, prenderà in custodia la mammella della martire siciliana aggiungendola alla collezione di reliquie, che insieme al dito di S.Caterina d’Alessandria e altre, costituivano il tesoretto orsiniano della Basilica di Galatina, voluta dallo stesso Raimondello e intitolata a S.Caterina. Fu perfino abraso lo stemma civico della cittadina ionica – incisivo sulla base del reliquiario – con una evidente volontà di cancellare la provenienza della reliquia.

I gallipolini però non si arresero e cercarono di tornare in possesso della sacro cimelio, ma nel 1494 il Re Alfonso II d’Aragona ordinò che fosse posta sotto la custodia del castellano di Lecce. In seguito, qualche mese prima che Carlo VIII, re di Francia, invadesse il Regno di Napoli, i Padri Olivetani, succeduti per un breve periodi ai Francescani Riformati, protetti da Re Alfonso, si adoperarono affinché la reliquia tornasse nuovamente nella Basilica di Galatina, dove la troviamo tutt’oggi, nel Museo all’interno dell’ex refettorio dell’adiacente monastero.

Ebbe da qui inizio la contesa per la custodia, ancora oggi in corso, perché i fedeli gallipolini non voglio rinunciare alla sacra reliquia che sentono loro per diritto elettivo. La devozione per Sant’Agata è assai viva, testimoniata nei secoli da quelle opere commissionate ad abili artisti del loro tempo: non solo per la sua titolazione, la cattedrale di Gallipoli è celebrazione della figura della martire catanese, che è in posizione dominante nella nicchia centrale sulla facciata dell’edificio sacro, con il suo simulacro scolpito nel carparo.

È soprattutto l’interno, della grande chiesa, a raccontare la storia della santa. Basta alzare lo sguardo sulla volta della navata centrale per vedere le tre tele del pittore napoletano Nicola Malinconico, incastonate in cornici sagomate sull’impalcato in legno finemente decorato: “S.Pietro medica Sant’Agata”, “Gloria di Sant’Agata” e “Sant’Agata placa l’eruzione dell’Etna”. Poco oltre scorgiamo la volta del tiburio interamente coperta da una tela di 100mq raffigurante il martirio di Sant’Agata, sempre attribuita al Malinconico. Opera dello stesso pittore sono anche le tele che affiancano le finestre sopra il cornicione della navata centrale, raffiguranti episodi che narrano il ritrovamento della mammella della titolare della Cattedrale: “Ritrovamento di una bambina succhiante la mammella”, “Approdo della barca con le reliquie di Sant’Agata”, “Deposito della mammella della Santa sulla spiaggia di Gallipoli”, “Processione con il vescovo che tiene tra le braccia la bambina”, “Consegna della mammella da parte della bambina al Vescovo”. Anche l’area absidale riporta gli interventi del Malinconico e in particolare mettiamo in evidenza (per la tematica di questo post) le tele collocate nei lunotti della volta a crociera, nei quali si possono ammirare altri episodi riferiti a Sant’Agata e più nello specifico al suo martirio: “Consegna di Sant’Agata alla cortigiana Afrodisia”, “Sant’Agata nel carcere”, “La tortura della mammella”, “La morte di Sant’Agata e terremoto”. Rimanendo in tema non possiamo non ricordare l’altare a sinistra del transetto, dove si trova la grande tela del Martirio della Santa “firmata” dal gallipolino Giovanni Andrea Coppola.

 

C’è una piccola curiosità che riguarda proprio quest’ultimo altare e soprattutto il pittore chiamato a eseguirne la tela. Mi permetto giusto un brevissima divagazione dal tema.
Tra il 1642 e il 1645, infatti, una convenzione tra il Coppola e il vescovo De Rueda, permise al prelato di non corrispondere alcuna somma di denaro per tale opera, in cambio della cappella di patronato che gli aveva accordato (ossia quella dell’Assunta, nella navata di destra).

Riprendiamo le fila del nostro discorso, e passiamo alla Basilica di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina, dove appunto la reliquia contesa è oggi in custodia, ma sicuramente la manifestazione artistica della devozione dei fedeli di Gallipoli non ha riscontro nella tempio orsiniano. Qui, nella bellezza generale degli affreschi quattrocenteschi, in controfacciata, nella navata di destra, troviamo un altare databile al XIX secolo con una tela che ritrae la martire nell’atroce momento in cui i suoi aguzzini le recidono la mammella, forse a testimoniare anche nella Basilica galatinese la presenza della sacra reliquia sottratta con l’inganno da Raimondello, e che ancora i gallipolini reclamano perché faccia ritorno nella loro Cattedrale.

di Sara Foti Sciavaliere

 

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